Cantrida, posto di confine della città di Fiume, 12.9.1919.
Giunta allo sbarramento di Cantrida, la colonna dei legionari è costretta ad una breve sosta. Ormai, solo una sottile sbarra separa il futuro di migliaia di giovani dal loro destino (figura 1).
L’autoblinda si è fermata davanti a quell’ultimo ostacolo, ma oltre non vi sono soldati in armi, pericoli, bocche da fuoco pronte a sparare. La via è sgombra … solo un fragile legno, che una volta superato segnerà per sempre le loro vite. Ufficiali, eroi di guerra, semplici soldati sono uniti da un’unica consapevolezza: fatto quel passo decisivo non si potrà più tornare indietro. Tutti loro diventeranno disertori, uomini senza Patria, ricercati dalla giustizia militare .
Non li hanno dissuasi gli alti Comandi, i richiami alla disciplina, le scelte attendiste del Governo e neppure l’autorevole posizione delle grandi potenze alleate; li ha spinti un’idea, un motto: “o Fiume o morte!”. Ora, però le loro vite stanno per cambiare. Domani non ci sarà più per loro il ritorno a casa, il calore della famiglia, non ci saranno certezze, né futuro.
Dall’altro lato del confine c’è, però, un’intera città in attesa di accoglierli. Scendendo dalla strada di Mattuglie l’hanno vista ancor più bella e ricca di quanto non immaginassero: davanti a loro il mare lucente del Carnaro, dove si tuffano le verdi montagne dell’Istria e sulla sinistra, in lontananza, le industrie, le alte ciminiere, le gru il porto.
Gabriele D’Annunzio, sulla sua FIAT 501, rossa, sente la gravità del momento ed avverte la responsabilità che gli deriva dal guidare tante giovani vite. Febbricitante, si volge ad osservare la colonna, ne coglie i fremiti. Poi volge lo sguardo al mare, azzurro, ora che il sole è già alto; quindi impartisce l’ordine.
La prima delle autoblinde, guidata da Costanzo Rauci spezza la barriera; la lunga teoria di mezzi e di uomini avanza lentamente: quattro autoblinde, la macchina del Comandante, una ventina di autocarri, i Granatieri di Sardegna, i numerosi militari man mano aggregatisi ed a chiudere altre tre autoblinde.
Sfilano le prime abitazioni, l’abitato di Cantrida, gruppi di uomini e donne con bandiere tricolori, poi, sulla destra, i bacini e le grandi installazioni del cantiere, i serbatoi della raffineria e la zona industriale con le sue ciminiere.
La folla è sempre più numerosa, agita i tricolori, lancia fiori e cinge il capo dei militari con corone di alloro, li abbraccia. All’altezza dei giardini è un tripudio. Viva D’Annunzio, Viva Fiume Italiana! Ormai la colonna avanza a fatica, sommersa dal popolo fiumano, accorso da tutte le periferie. A mezzogiorno percorre l’ampio viale XVII novembre, supera la stazione e può puntare al Palazzo del Comando, da dove mesi prima è fuggito il Governatore ungherese, occupando l’intera città.
I francobolli fanno la storia.
Gabriele D’Annunzio ha stretto le mani ed abbracciato una moltitudine di persone. Tutti avrebbero voluto ringraziarlo ed avere con lui un contatto, per quanto fugace. Quando si reca all’hotel Europa, spossato dalla febbre, per riprendersi da quella giornata piena di tensione e di tante emozioni, non sta certo pensando che proprio quella folla rappresenterà la fonte delle sue maggiori, future preoccupazioni e che esse saranno dettate non soltanto dalle responsabilità che nei loro confronti assume in qualità di Comandante, ma da motivi ben più materiali, legati alla sua funzione di uomo di governo.
Il blocco militare stretto attorno alla città dall’esercito italiano, su disposizione del Governo Nitti, non tarda, infatti, ad impedire il flusso delle materie prime alle industrie cittadine. Le scorte si esauriscono ed una ad una le industrie devono chiudere. Crescono i disoccupati. La città cambia volto rapidamente: le saracinesche dei negozi si abbassano, le strade si riempiono di nullafacenti, di poveri, di donne che il bisogno induce a prostituirsi.
Migliaia di bocche chiedono di essere sfamate ed a soddisfarle non basta dare le colpe all’odiato “Cagoia”, né vantare i successi dei colpi di mano degli uscocchi, i quali effettuano le loro razzie nei depositi dell’esercito italiano e sul mare. Non è sufficiente neppure convogliare l’attenzione sulla vita di Palazzo, che si svolge brillante, onorando Fiume di visitatori illustri. Né sulle manifestazioni pubbliche.
Serve denaro per pagare gli stipendi degli impiegati statali e per acquistare le derrate che possono attraversare il blocco. Molti promettono aiuti, a parole, ma a Fiume i finanziamenti stentano ad arrivare. In mancanza di altro lavoro, anche la produzione e la vendita di francobolli può diventare un’attività importante.
L’attenzione per la filatelia fiumana è ancora alta. I collezionisti di tutt’Italia ne seguono le vicende attraverso la stampa filatelica o tramite qualche corrispondente. Persino in Europa è vivo l’interesse per la nuova entità territoriale.
Conseguenza immediata è la notevole produzione filatelica: dapprima, si rastrellano giacenze invendute di francobolli di emissioni precedenti che, munite di diverse sovrastampe, possano essere commercializzate.
Ad un anno di distanza da quella che viene chiamata in fiumano la “Santa Entrada”, cioé il 12.9.1919, nell’anniversario dell’impresa di Fiume, sono pronte due emissioni nuove. La prima porta l’effigie di D’Annunzio e la scritta “Hic manebimus optime”, a ribadire che gli unionisti dannunziani non intendono muoversi dalla città. Viene disegnata da Guido Marusig e stampata dalla ditta Bertieri e Vanzetti di Milano. Essa rappresenta in un certo senso la serie “ordinaria” del periodo; è completata da due francobolli per espressi e da un francobollo per giornali del valore di un centesimo, stampati a Trieste dalla ditta Zanardini.
La seconda emissione ha una genesi piuttosto complicata. I soggetti sono frutto di precise indicazioni dello stesso D’Annunzio. Rappresentano un gladio romano che recide un nodo molto aggrovigliato, ad indicare che una situazione politicamente troppo complessa può essere risolta solo con un atto di forza (valore da 5 cent.); la fonte che versa “indeficienter”, ovvero senza sosta, acqua e che nel tempo corrode la pietra più dura (valore da 10 cent.); allegoria di Fiume, città martire, con una corona di spine che le cinge il capo (valore da 20 cent.) ed infine, i pugnali dei legionari (valore da 25 cent.). Vengono disegnati dal grafico di fiducia del poeta soldato: Adolfo De Carolis, il quale aveva già realizzato le illustrazioni delle sue principali opere letterarie.
Essi servono dapprima a produrre dei francobolli ricordo, con intestazione “Fiume d’Italia” acquistabili presso il Comando dannunziano al prezzo di ben 50 lire a serie. Verificato l’insuccesso delle vendite, causa l’alto prezzo e l’impossibilità di uso postale, verranno in parte riconvertiti per usi fiscali.
Con il tassello modificato in “Poste di Fiume” vengono successivamente stampate circa 500.000 serie presso la Casa Danesi di Roma, inviate a Fiume, attraverso il blocco, che consente il trasporto di questo tipo di merci. Ne viene commercializzata solo una piccola parte, circa 2000 serie, in quanto il grosso sarà successivamente sovrastampato “Reggenza italiana del Carnaro”.
I francobolli dell’emissione, c.d. dei Legionari, devono servire per l’affrancatura della posta dei legionari, quindi per la posta militare. (figura 2)
A ben vedere la posta militare dannunziana è un mero artifizio giuridico: nella città circondata non ha ragione di esistere una vera posta militare. I legionari si servono, per scrivere alle famiglie, della posta civile, che può attraversare il blocco. La corrispondenza affrancata con questi valori, infatti, è assai poco comune e limitata a spedizioni locali. Buona parte dell’emissione viene applicata su cartoncini commemorativi annullati e muniti di dichiarazione di garanzia del responsabile della Posta militare. I cartoncini, vengono venduti a 50 lire l’uno, a fronte di un valore facciale di soli 60 cent. di lira. (figura 3)
I falsi dell’epoca, piccole opere d’arte.
In questo travagliato periodo, l’opera dei falsari, non si arresta; al contrario l'interesse per la filatelia fiumana ne incentiva l'attivismo, con risultati che ancor oggi suscitano meraviglia: alcune realizzazioni, infatti,rappresentano delle piccole opere d’arte.
Pur esistendo diversi tipi di falsificazioni, alcuni dei quali più grossolani, in questa sede mi limiterò alla descrizione di una busta, non viaggiata, affrancata filatelicamente con la serie di quattro ed annullata con il timbro a datario fisso della Posta Militare 12.9.1920. (figura 4)
Si tratta di un falso completo, comprendente la busta stessa, i francobolli, gli annulli e ci consente di esaminare il tipo più frequente di falsificazioni dei francobolli c.d. Legionari e di ammirare la maestria dell’imitazione.
Partendo proprio dalla busta, si deve notare come essa sia munita di apposita intestazione della Reggenza del Carnaro, proclamata solo pochi giorni prima e di cui il giorno 12, nell’anniversario della Santa Entrada, si inaugura il gonfalone. Non mancano neppure le indicazioni del modello stampato a cura dell’Amministrazione Militare dei Servizi Postali e Telegrafici.
E’ bene chiarire da subito che questo modello di busta non esiste con affrancature originali. Non sono, però, in grado di dire se essa fu stampata per dare una maggiore parvenza di ufficialità all’affrancatura o se vennero utilizzate buste in dotazione della Reggenza per realizzare una certa quantità di false affrancature. Per certo se ne trovano una discreta quantità.
La parte più interessante è costituita, ovviamente, dai quattro francobolli, probabilmente realizzati a Milano. Anche sciolti se ne incontrano con frequenza sia con, sia senza la sovrastampa Reggenza Italiana del Carnaro ed anche con le sovrastampe ARBE e VEGLIA.
Sorprende, innanzitutto, la vicinanza dei colori agli originali. Abitualmente il colore rappresenta l’elemento più difficile da imitare; qui i colori sono davvero ben riprodotti anche nelle loro tonalità.
Altrettanto dicasi della carta utilizzata e della colla: la carta è appena un po’ meno porosa e più bianca degli originali, ma complessivamente risulta assai simile; la colla è lucida, stesa con le stesse metodologie, direi perfetta o quasi. La dentellatura è identica, di misura perfetta.
La stampa è stata eseguita tipograficamente per gli originali, mentre i falsi sono stati eseguiti in litografia. Lo stereotipo risulta ricopiato con grande cura e si distingue dagli originali solo per alcuni piccoli particolari del disegno. Osservando con attenzione un paio di questi, la distinzione dei falsi è abbastanza agevole.
In particolare il falsario ha disegnato le “I” con troppa precisione. Alla base delle I di DI e di FIUME, nei falsi, manca il tipico “scarponcino”, ossia il disegno non si prolunga a sinistra come negli originali. Anche la U è troppo perfetta e manca sull’asta di destra, all’esterno, una piccola protuberanza che ne rende irregolare la forma (figure 5 e 6).
Passiamo al timbro. Qui si trattava di imitare un timbro a datario fisso, relativo all’unico giorno di validità postale dei francobolli non sovrastampati. Anche in questo caso vi sono piccole differenze: l’inchiostro è di colore nero brunastro, più oleoso rispetto all’originale; l’apostrofo dopo la D risulta meno curvo e meno distanziato; le stelle sono meno magre, meglio disegnate. (figure 7 e 8)
Insomma, un piccolo capolavoro o, se vogliamo, una piccola opera d’arte. Ma attenzione! Pur sempre un falso.
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