Oliviero Emoroso
PREMESSE STORICHE
Cent’anni or sono, Il 12.9.1919, ebbe luogo l’impresa di Fiume, un evento che segnò profondamente le coscienze e la storia del nostro Paese.
Le premesse vanno ricercate nel Patto di Londra, accordo segreto tra Governo italiano, francese ed inglese, con il quale l’Italia poneva le condizioni per l’ingresso in guerra a fianco degli alleati (fig. 1).
Si pensava ad una sorta di quarta guerra d’indipendenza, che avrebbe riunificato all’interno dei confini nazionali tutte le popolazioni di lingua italiana. Non soltanto, quindi, Trento e Trieste, ma anche la Carnia, l’intera Istria, le isole dalmate, Zara ed il suo entroterra.
La città di Fiume era esclusa e non perché il Governo italiano non la ritenesse importante.
Fiume era divenuto uno dei principali porti del Mediterraneo; l’Austria vi aveva investito molto e vi operavano diverse compagnie di navigazione, addette al trasporto di merci e passeggeri provenienti dall’ampio bacino della Croazia, dell’Ungheria e della città di Budapest. Inoltre era una ricca città industriale, con i cantieri navali Danubius, che davano lavoro ad oltre 1500 maestranze ed una serie di industrie storiche di medio - grandi dimensioni: lo zuccherificio, la pilatura del riso, la manifattura tabacchi, la raffineria di petroli e così via.
Il problema è che nessuno si aspettava il crollo dell’Impero austro-ungarico, ma eventualmente una riduzione dei relativi territori; Fiume, pertanto, ceduta Trieste, sarebbe rimasta all’Austria come sbocco al mare della stessa.
L’implosione dell’impero, tuttavia, creò un problema, in quanto la città, abitata in grande maggioranza da popolazione italiana, contrariamente alle campagne circostanti, era contesa tra filo italiani e filo croati, che la volevano annessa al Regno SHS (Serbia, Croazia, Slovenia), in corso di costituzione.
L’esercito italiano, nell’assenza di accordi preventivi, indugiò ad occuparla anche dopo l’armistizio. Solo il 17 novembre, quale reazione ad un’azione militare dei Croati, avvenuta il giorno prima, la città venne occupata dal C.O.I.F. Corpo di Occupazione Interalleato di Fiume.
Il C.O.I.F. era comandato da un alto generale italiano e composto in maggioranza da militari italiani, ma anche da inglesi ed americani e da un nutrito contingente francese. I francesi, infatti, avevano interessi specifici sulla città: contavano di costituire, nell’area portuale, una base navale che servisse quale sostegno ai loro possedimenti nel Mediterraneo orientale (fig. 2)
Sui tavoli per le trattative di pace, a Parigi, le cose per l’Italia non andavano molto bene (fig. 3).
Il Presidente americano Wilson, infatti, aveva presentato i suoi 14 punti, uno dei quali prevedeva la pubblicità delle trattative diplomatiche, dando così un colpo decisivo alle aspettative italiane, che erano basate su un accordo segreto. Egli, inoltre, era contrario a dare all’Italia un eccessivo potere sull’Adriatico, preferendo il giovane stato SHS. Altrettanto dicasi per gli altri alleati, in particolare i francesi.
In questo clima di frustrazione delle aspettative dell’Italia, ebbe terreno fertile il concetto di Vittoria mutilata, derivante da un articolo di G. d’Annunzio sul Corriere della Sera del 24.10. 1918, dal titolo “Vittoria nostra non sarai mutilata” (fig. 4) e maturò l’Impresa di Fiume.
Il progetto fu concepito da alcuni ufficiali dei Granatieri di Sardegna, corpo simbolo dell’italianità di Fiume, il primo ad entrare in città tra le file del C.O.I.F., che ne era stato allontanato a seguito di alcuni incidenti con il contingente francese.
Furono questi ufficiali a convincere G. d’Annunzio, il quale ufficialmente era intento a preparare il raid Roma – Tokio, a mettersi a capo dell’Impresa.
Sottratti alcuni automezzi presso l’Autoparco di Palmanova, la colonna, partita da Ronchi dei Legionari, si avviò alla volta di Fiume. Lungo il percorso incontrava le postazioni dell’esercito italiano, raccogliendo numerose adesioni. In prossimità della città erano un paio di migliaia di uomini. A Castua si fece loro incontro il Comandante del C.O.I.F. gen. Pittaluga (fig. 5).
Egli spese tutti i suoi argomenti per convincere d’Annunzio a desistere dai propri propositi. Ma Pittaluga era sovrastato dalla personalità del Poeta – soldato, il quale gli fece chiaramente intendere che per fermare l’occupazione avrebbe dovuto passare sul suo cadavere.
Tornato in città, si rivolse alla folla, in trepidante attesa degli eventi, dopo che si erano sparse voci sull’imminente arrivo dei legionari e riferì che erano alle soglie della città oltre 10.000 uomini; nessuno poteva fermarli ed egli si augurava che ciò non provocasse scontri con gli alleati.
In effetti l’occupazione legionaria (fig. 6) e lo sgombero degli alleati, disposto dallo stesso Pittaluga, avvenne pacificamente, ma ebbe alcuni strascichi giudiziari. Gli alleati a causa dello sgombero frettolosamente disposto, dovettero abbandonare alcuni armamenti pesanti e fecero causa al nostro Paese per i danni loro causati.
EMISSIONI FILATELICHE IN USO ALL'INIZIO DELL'IMPRESA LEGIONARIA
Passiamo ora alla parte filatelica. Nel momento in cui inizia l’impresa fiumana non sono più in corso i francobolli ungheresi, in corone e filler, sovrastampati FIUME. A metà marzo 1919, infatti, il Consiglio Nazionale Italiano, ha approvato una riforma monetaria che mette fuori corso le corone ungheresi, enormemente svalutate al termine del conflitto, sostituendole con le corone fiumane. Le banconote circolanti sono state sovrastampate a mano con un timbro circolare “Città di Fiume” allo scopo di difendere in qualche modo il potere d’acquisto in città. In verità gli speculatori falsificano questi timbri lucrando sul modesto plusvalore delle corone fiumane rispetto a quelle ungheresi.
Sono, invece, in uso i francobolli della serie definitiva, c.d. “allegorie e vedute”, disegnata dal noto pittore triestino Riccardo Pitteri con soggetti dal significato fortemente politico: Il marinaio con una grande bandiera italiana sulla poppa della Emanuele Filiberto, prima nave italiana entrata nel porto di Fiume; la torre civica, su cui sventola un’altra bandiera italiana; il gruppo della rivoluzione, tratto da una scultura alla base del monumento a Garibaldi, in piazza Castello a Milano ed infine “Fiume, la bella del Carnaro”, rappresentata da una giovinetta con bandana e stella sulla fronte (fig. 7).
I Croati, irritati per il contenuto politico della nuova emissione, la boicottano tassando le corrispondenze o respingendole al mittente, motivando con il fatto che il tassello Fiume alla base dei francobolli, non consente di individuarli come valori postali.
E’ in circolazione anche la serie di 12 valori denominata “Pro Fondazione Studio”, emessa con sovrapprezzo a favore degli studenti poveri fiumani. Essa è disegnata mirabilmente da Leopoldo Metlicovitz, pittore di origini dalmate e rappresenta anch’essa soggetti fortemente legati all’Italia: la lupa capitolina, la caravella veneziana e la basilica di San Marco. Il sovrapprezzo assai elevato fu di ostacolo al successo delle vendite; vennero vendute meno di 50.000 del mezzo milione di serie commissionate allo stabilimento Bertieri e Vanzetti di Milano (fig. 8).
Entrambe le emissioni, inoltre, erano state rimesse in vendita con sovrastampe diverse: i francobolli “allegorie e vedute”, sia con tassello FIUME, sia con tassello Posta Fiume, rifatto per togliere ogni alibi ai Croati, sovrastampati FRANCO e nuovo valore (fig. 9), quelli “pro Fondazione Studio” con sovrastampa Valore globale (fig. 10), atta ad inglobare, ossia, ad eliminare, l’alto sovrapprezzo che aveva determinato l’insuccesso delle vendite.
DUE NUOVE EMISSIONI
Proprio nei giorni dell’impresa, vengono invece effettuate due emissioni. La prima riguarda un intero postale da 10 cent. di lira, acquistato dalle Poste italiane e sovrastampato in centesimi di corona fiumana (fig. 11).
E’ un’iniziativa assai singolare, dal momento che la corona fiumana vale appena un quinto della lira. La vendita degli effetti postali, di conseguenza, avviene con una perdita economica.
La seconda emissione riguarda, invece, il francobollo con effigie di Antonio Grossic, unico fiumano ad essersi conquistato un posto nella filatelia (fig. 12). Grossic, benché noto come patriota e Presidente del Consiglio Nazionale Italiano, doveva la propria fama ai suoi meriti scientifici, in quanto inventore della tintura di iodio, invenzione di importanza eccezionale, in quanto, specie in guerra, le infezioni mietevano molte più vittime delle ferite vere e proprie.
IL BLOCCO MILITARE E LA POLITICA DEL GOVERNO DANNUNZIANO
Il Governo italiano, dopo le iniziali incertezze e sottovalutazioni dell’Impresa, dovette reagire agli avvenimenti; la città venne, infatti, circondata dal blocco militare.
Il blocco, in verità era abbastanza blando: potevano transitare diverse merci, tra cui la posta e gli aiuti della Croce Rossa. Non passavano, però, materiali bellici e materie prime. Quest’ultimo divieto rappresentò un’autentica disgrazia per la città, che, come si è detto, viveva grazie alle sue industrie.
In un breve arco temporale la città si impoverì enormemente; poco a poco le grandi industrie, prive di materie prime, dovettero chiudere, seguite dalle varie attività commerciali e le strade si riempirono di disoccupati e di gente ridotta in miseria.
La reazione del Governo dannunziano fu orientata prima di tutto sul piano della propaganda. D’Annunzio si scagliava violentemente contro il Presidente del Consiglio Nitti, da lui definito Cagoia, ossia uomo da poco, che se la fa sotto, non all’altezza (Fig. 13).
L’attenzione veniva distratta dalle ristrettezze materiali e rivolta verso la vita pubblica, fatta di cerimonie, parate militari, onori alla bandiera, conferimenti di onoreficenze (fig. 14)
Oggetto di attenzione era anche la vita brillante che il Comandante conduceva nel Palazzo del Governatore, dove spesso dava ricevimenti in onore di personaggi illustri (fig. 15)
A Fiume, infine, vennero invitati i principali esponenti della cultura italiana ed europea. Basti ricordare Filippo Tommaso Marinetti, principale esponente del futurismo, unitosi per un certo periodo ai Legionari; Guglielmo Marconi, il quale visitò il Porto di Fiume con la regia nave Elettra, dalla quale aveva realizzato i suoi celebri esperimenti.
Anche Arturo Toscanini, fu a Fiume e vi diresse un importante concerto al teatro La Fenice (fig. 16).
Tutto questo serviva a tenere alti gli animi, ma non bastava ad un’intera città immiserita ed a malapena sfamata dalla Croce rossa. Vennero quindi intraprese anche iniziative concrete.
Una di queste era davvero curiosa. Venne istituito, infatti il c.d. Ufficio Colpi di Mano, a capo del quale venne posto Guido Keller, estroverso artista ed aviatore, dannunziano della prima ora. Aveva il compito di realizzare dei colpi di mano tutt’intorno alla città, nei depositi dell’esercito italiano, sottraendo ogni tipo di merce che potesse rappresentare un concreto aiuto ai bisogni della città.
Era anche incaricato di episodi di pirateria marittima; eclatante fu il sequestro del mercantile Persia. Per tale motivo, i componenti dell’ufficio si definivano Uscocchi, dal nome dei pirati che tanto filo da torcere avevano dato alla Serenissima. Lo stesso d’Annunzio amava parlare di sé come il Grande Uscocco.
LA MEMORABILE ASTA DI BENEFICIENZA CON IL C.D. "NUMERO UNICO"
Fu dell’Economo di d’Annunzio, il colonnello Margonari, il quale, invece, ironicamente, si autodefiniva il grande ricettatore, l’idea di organizzare un'asta di beneficienza e l’individuazione di un oggetto prezioso da mettere all’asta a favore dei bambini poveri fiumani.
A cosa pensò Margonari? Ad un francobollo (fig. 17). La cosa non meravigli: nella città immiserita, afflitta dalla disoccupazione, la vendita dei francobolli era forse l’unica attività di successo. La collezione dei francobolli fiumani era assai popolare in tutta Italia ed anche all’estero. Questo spiega le numerose emissioni, spesso non dettate da necessità postali. I Francobolli consentivano entrate fresche nelle casse esangui dello Stato fiumano e servivano a pagare gli stipendi agli impiegati statali.
Venne dunque preso un francobollo da 15 cent. raffigurante la lupa capitolina, sul cui centro venne incollato un tondo con la foto del Comandante in divisa da lanciere; esso venne poi applicato ad una busta, annullato e munito di una dichiarazione autografa in cui d’Annunzio faceva presente che il francobollo con la sua effigie non sarebbe stato replicato, in quanto già aveva incaricato l’amico Guido Marussig di disegnare una nuova serie con la sua effigie.
Questo “numero unico”, in verità non rimase tale, in quanto il Margonari ne realizzò alcuni esemplari poi inviati alla moglie ed alla figlia, ma ciò non impedì all’asta un grande successo. La busta venne venduta per 50.000 lire, cifra davvero enorme per quei tempi, pare al sen. Borletti, amico e sostenitore della causa dannunziana.
ANCORA EMISSIONI FILATELICHE
Ed ecco il valore da 1 lira, della serie di 14 pezzi, con effigie di d’Annunzio, disegnato da Guido Marussig e stampato dalla Bertieri e Vanzetti di Milano (fig. 18).
L’incarico di disegnare il soggetto venne inizialmente affidato ad Adolfo De Carolis il quale avrebbe dovuto realizzarlo sulla base di una foto del poeta soldato scattata in occasione del volo su Vienna. De Carolis, tuttavia, non trovava alcuna ispirazione artistica in quel ritratto fotografico e finì per declinare l’incarico.
Era forse la prima volta che il suo amico e disegnatore di fiducia rispondeva negativamente al poeta; era già stato, infatti, lo scenografo di numerose sue opere, aveva illustrato alcuni suoi libri e per lui aveva realizzato degli en tete.
D’Annunzio si rivolse allora a Marussig, che lo ritrae in modo classicheggiante, senza pupille, come nelle statue romane.
Complementi della serie erano un francobollo per giornali, da 1 cent. di lira che ritrae una nave (fig. 19) e due per espressi, c.d. “cavalieri” (fig. 20), stampati a Trieste dalla tipografia Zanardini.
Come si sarà notato questi francobolli portano il valore in lire italiane, dal che si dovrebbe dedurre che d’Annunzio introdusse a Fiume la lira italiana. Ma non fu così: le casse dello Stato, in quel periodo di grave crisi, erano vuote e non si potevano permettere di cambiare la cospicua massa monetaria in corone fiumane ancora in circolazione.
PROVVEDIMENTI IN MATERIA MONETARIA
Il Governo dannunziano, tuttavia, mise in atto alcuni provvedimenti tesi a favorire il passaggio alla lira. Il primo fu la revisione delle banconote, con la sostituzione dei timbri sino ad allora in uso, oggetto di cospicue falsificazioni, con altri, rettangolari, assai più complessi (fig. 21)
Secondo provvedimento fu il ragguaglio alla lira italiana: dal 20 maggio 1920, circa, tutti gli stipendi dei dipendenti statali, peraltro una piccola minoranza rispetto alla massa dei disoccupati, e tutte le tariffe dovevano essere ragguagliate alla lira italiana. In tal modo i pagamenti avvenivano in corone ma per importi corrispondenti al valore in lire.
Un esempio: la spedizione di una lettera per l’Italia, che prima della riforma costava 25 cent. di corona, veniva a costare 1 corona e 25 cent, essendo il rapporto di cambio lira corona di 1 a 5. Un sacrificio assai grave nella situazione di profonda crisi economica.
Il terzo provvedimento consistette nel ritiro delle monetine, ossia dei filler ungheresi, mai riconiati e nella loro sostituzione con francobolli italiani, appositamente incapsulati (fig. 22), ovvero con francobolli della Reggenza Italiana del Carnaro, da poco emessi.
LA REGGENZA ITALIANA DEL CARNARO
Nell’agosto del 1920 Il nuovo assetto statale, la Reggenza Italiana del Carnaro aveva avuto la sua inaugurazione ufficiale presso il teatro la Fenice, dove erano stati presentati anche gli Statuti Carnarici, una
specie di nuova Costituzione. Il documento era, per certi aspetti, moderno ed assai avanzato, ad esempio nella parte in cui trattava dei diritti delle donne; per altro verso introduceva principi corporativi, che sarebbero stati successivamente ripresi dal fascismo.
Il 12.9.1920, nell’anniversario della marcia di Ronchi, venne inaugurato anche il gonfalone della Reggenza, costituito da una biscia che si morde la coda, con al centro la costellazione dell’Orsa Maggiore e la scritta “Quis contra nos?”. Il tutto ricamato in oro su campo rosso (fig. 23)
I FRANCOBOLLI DEI LEGIONARI
Di seguito vediamo, invece, l’immagine delle xilografie di Adolfo De Carolis realizzate su specifiche disposizioni di d’Annunzio per la realizzazione di una serie di quattro francobolli (fig. 24).
Il primo soggetto rappresenta il gladio romano che recide il nodo gordiano, ad indicare che, in alcune situazioni troppo complesse, l’unica soluzione è quella violenta. Il secondo raffigura Una brocca, meglio, una fonte che “indeficienter”, senza sosta, versa acqua purissima e nel tempo corrode la roccia più dura. I terzo rappresenta la città martire: giovane con una corona di spine in capo. L’ultimo i pugnali dei Legionari.
Originariamente la spada aveva una forma diversa ed in luogo dei pugnali erano ritratte le insegne delle legioni romane, ma il Comandante suggerì le modifiche per rendere i soggetti più attuali ed aderenti alla realtà.
Secondo i Cataloghi solo il primo francobollo sarebbe sopravvissuto all’incenerimento o alla trasformazione in valori fiscali (fig. 25); con tali operazioni si sarebbe voluto evitare di irritare gli Alleati che avrebbero disapprovato il tassello con la scritta “Fiume d’Italia”.
La versione non è affatto corretta. Infatti, d’Annunzio era un ribelle, i Legionari giuridicamente erano dei disertori e non avevano alcuna benevolenza nei confronti dei desiderata degli Alleati; tutti e quattro i francobolli, inoltre, seppure assai rari, sono reperibili nuovi (fig. 26).
La verità è che il decreto di emissione dei quattro francobolli, li definiva “francobolli ricordo”. Essi non avevano valore postale, tant’è che vennero venduti non alle Poste, ma presso il Comando dannunziano, al prezzo assai elevato di 50 lire a serie.
Questi fatti combinati, fecero sì che le vendite furono quasi nulle e determinarono i responsabili a trasformarli in valori postali sostituendo il tassello in alto in POSTE DI FIUME (fig. 27).
I nuovi francobolli, emessi il 12 settembre 1920, in contemporanea con quelli con effigie di d’Annunzio, da usarsi per la corrispondenza ordinaria, dovevano servire all’affrancatura della posta dei Legionari, configurandosi come francobolli di posta militare.
E’ evidente, peraltro, che la posta militare dannunziana è soltanto una finzione giuridica, in quanto essa non poteva estendersi al di fuori della città, militarmente bloccata. L’operazione era quindi tesa a giustificare l’alto numero di emissioni ed a fare cassa.
La Casa Danesi di Roma ne aveva stampate 500.000 serie, una piccola parte delle quali messe subito in vendita. La gran parte sarà successivamente sovrastampata Reggenza Italiana del Carnaro.
IL TRATTATO DI RAPALLO E LA REAZIONE DANNUNZIANA
Il 12.11.1920 venne sottoscritto il Trattato di Rapallo, approvato dal Parlamento con larghissima maggioranza, comprendente anche quei partiti, quali il partito fascista, che formalmente erano tra i sostenitori dell’Impresa (fig. 28).
Con Rapallo l’annessione di Fiume all’Italia è fuori discussione. Verrà costituita una città autonoma, ma con alcune limitazioni: le ferrovie potranno essere utilizzate anche dai Croati ed una clausola segreta prevede la cessione agli stessi Croati di una piccola porzione del porto, porto Barros.
La reazione dei dannunziani fu, ovviamente, negativa ed ebbe immediate ripercussioni concrete. Porto Barros venne occupata dalla c.d. Legione Fiumana, che si fregiava con la bandiera nera che ha, al centro, un teschio (fig. 29).
Il giorno dopo Rapallo, inoltre, vennero occupate le isole di Arbe e di Veglia, che avrebbero dovuto essere cedute ai Croati. Esse erano presidiate da piccoli contingenti di alpini, i quali, tuttavia, fraternizzarono con i Legionari.
I FRANCOBOLLI SOVRASTAMPATI REGGENZA ITALIANA DEL CARNARO E QUELLI PER ARBE E VEGLIA
Nell’occasione, inoltre, d’Annunzio diede vita ad un ultimo colpo di teatro. Presso la tipografia Urania di Fiume, era in corso, infatti, la sovrastampa dei francobolli Legionari con la scritta Reggenza Italiana del Carnaro. Le lavorazioni erano lunghe, in quanto riguardano ben 19 valori diversi, complessivamente poco meno di due milioni di pezzi (fig. 30).
Venne prelevato un piccolo quantitativo di francobolli già sovrastampati, munito di un’ulteriore sovrastampa ARBE o VEGLIA ed i francobolli portati sulle isole in modo da poter dimostrare che esse facevano parte dello Stato dannunziano (fig. 31)
Nelle immagini che seguono si vedono due esempi leggermente diversi del 10 lire, alto valore della serie sovrastampata Reggenza Italiana del Carnaro (fig. 32).
Inoltre, due rare buste affrancate con striscie di 5 dei francobolli per le isole, una con sovrastampa con caratteri grandi e l’altra con caratteri piccoli. Si noti che la macchina da stampa abbracciava soltanto 40 dei 50 pezzi che componevano il foglio, di modo che la prima fila di 10 restava priva di sovrastampa, la seconda e terza aveva sovrastampa ARBE e la quarta e quinta riga sovrastampa VEGLIA (fig. 33 -34).
IL NATALE DI SANGUE E LA FINE DELL'IMPRESA
Ma ormai siamo agli sgoccioli. Rafforzato dall’approvazione ampia del Trattato di Rapallo il Governo italiano decide di farla finita con i ribelli di Fiume. Il giorno 12.12.1920 il blocco diventa impenetrabile. Il 24 i primi scontri, con alcuni morti da entrambi le parti (fig. 35 e 36).
Il 26, dopo qualche ora di tregua del giorno di Natale, c.d. Natale di sangue, la squadra italiana che blocca la città dal mare prende a bombardare la città (fig. 37)
Viene colpito anche il Palazzo del Governatore e precisamente lo studio di G. d’Annunzio, il quale resta leggermente ferito alla testa (fig. 38).
D’Annunzio comprende che è finita e che Fiume non potrà essere difesa se non pagando se non con un’aspra lotta fratricida. Dopo la commemorazione dei caduti al cimitero di Cosala e l’ultimo commiato ai suoi Legionari, il 18.1.1921 abbandona definitivamente la città (fig. 39).