Ho recentemente acquistato, per pochi euro, alcune pagine di un antico periodico francese dal titolo “Le Pays de France”. Non sono in grado di stabilirne né il numero, forse il 6, né la data precisa, tranne che fu stampato nel 1919, a ridosso dei tragici accadimenti che determinarono l’occupazione di Fiume da Parte di Gabriele d’Annunzio e dei suoi legionari.
A pag. 14 pochissime righe intitolate “Le - coup de main – de d’Annunzio a Fiume”, a commento di alcune immagini in bianco e nero ed il riferimento all’arrivo di due navi, i cacciatorpediniere Stocco e Sirtori, con a bordo l’ammiraglio Casanuova, incaricato di ordinare l’immediata partenza ai marinai che avevano fatto causa comune con d’Annunzio. Il Casanuova, anziché ottenere il risultato che si era prefisso, stante lo stringato commento, venne arrestato.
L’episodio mi ha incuriosito, in quanto, pur nella sinteticità del resoconto, fornisce un’immagine eloquente di quei caotici momenti e dell’evidente sorpresa ed impreparazione che caratterizzò il comportamento dei vertici militari.
Mi sembrava impossibile che durante l’occupazione dannunziana fosse stato arrestato addirittura un ammiraglio, così come inverosimile appariva che il Comando navale dell’alto Adriatico pensasse di far desistere i disertori dell’Impresa di Fiume invitandoli semplicemente alla ragionevolezza, con qualche minaccia, qualche lusinga e promessa da parte di un alto ufficiale.
Mario Casanuova Ierserinch, era un militare di carriera, esperto e pluridecorato; nel marzo 1918 era stato promosso Vice Ammiraglio e, all’epoca dei fatti, ricopriva la carica di Comandante del Dipartimento di Venezia.
Ho cercato, dunque, conferma dell’episodio dell’arresto, cui non è stato dato risalto all’epoca, non essendo, evidentemente, molto edificante per la storia della nostra marina, ma che è comunque riportato da diverse fonti.
Ho trovato, infatti, sull’argomento, il dettagliato racconto di due valenti giornalisti, Antonio Spinosa, autore del libro “D’Annunzio – Il poeta armato”, Oscar Mondadori, 2014 e Pier Luigi Vercesi, autore di “Fiume: L'avventura che cambiò l'Italia” Neri Pozza editore – 2017.
Il primo riferisce che Casanuova, arrivato, a bordo del Regio Cacciatorpediniere Stocco, ad Abbazia, il 14 settembre, si recò subito sulla corazzata Dante Alighieri, allo scopo di far eseguire l’ordine del Governo alle navi italiane, ancora ancorate nel porto fiumano, di salpare immediatamente.
La Dante Alighieri, come noto, era l’unità più importante presente a Fiume; parte dell’equipaggio aveva fraternizzato con la folla tumultuante e la nave aveva poi dovuto rinunciare alla partenza, trovando l’imboccatura del porto sbarrata dalla Regia Nave Cortellazzo.
D’Annunzio, secondo lo Spinosa, convocò al Palazzo del Governo il Vice Ammiraglio e dopo un franco ma aspro colloquio, ne ordinò l’arresto, peraltro trattandolo come ospite, con i riguardi del caso, e restituendogli la “libertà formale” dopo che Casanuova ammise di considerarsi prigioniero.
Impressiona la frase di D’annunzio: “Le navi sono a Fiume: Fiume ubbidisce a me. Anche le navi debbono ubbidire a me. Sono mie. Sono le mie cose più preziose”.
Segue il messaggio di d’Annunzio alle navi che si trovano “nelle acque di Fiume italiana” ed il racconto della sua incursione notturna, assieme ad alcuni arditi, sulla Dante Alighieri, da cui circa 400 tra marinai ed ufficiali si gettarono in mare per impedirne la partenza e non dover abbandonare la città.
Il racconto di Vercesi è dettagliato ma parzialmente divergente: Casanuova si sarebbe recato a Fiume e qui avrebbe chiesto di conferire con D’Annunzio.
Dal colloquio, svoltosi nell’ufficio di Giuriati, il Capo di Gabinetto, alla presenza del maggiore Reina, il quale alla fine lo prese in consegna, emerge la decisione e la fierezza dell’Ammiraglio e l’intento di eseguire gli ordini a costo della vita.
In risposta all’asserzione di d’Annunzio“Le navi sono mie” egli avrebbe affermato: “La nave è protetta dalla bandiera”. Ma il Comandante non gradì l’osservazione e disse: “A Fiume tutto è italiano, ma di un’Italia diversa da quella di Nitti”.
Allora l’ammiraglio replicò di non conoscere Nitti, ma di aver giurato fedeltà al Re.
L’arresto seguì, quindi, in un clima di rispetto e persino di commossa ammirazione reciproca.
La sottovalutazione, tra le alte sfere militari, di quello che stava succedendo a Fiume fu davvero singolare: avevano sperato di far rientrare tutto bonariamente in virtù della disciplina al Re, magari distribuendo qualche pacca sulle spalle.
Ma… nelle strade, come scrive Vercesi, i fanti già intonavano la canzone “Se non ci conoscete guardateci nel petto: noi siamo i disertori, ma non di Caporetto…”
A ben vedere, le parole della canzone esprimono in modo semplice un concetto molto chiaro: la diserzione dei legionari non è un atto di viltà, una fuga di fronte al nemico, bensì il prezzo necessario per una causa superiore, dovuto al tradimento delle autorità governative.
Assai più cruda e forse realistica la brevissima sintesi del periodico francese: all’estero non esistono le remore ed i falsi pudori che hanno lasciato in ombra alcune verità storiche nel nostro paese.
Scrive, infatti, il giornale che all’ammiraglio Casanuova non obbedirono né ufficiali né marinai “e lui fu condotto a terra come prigioniero.”
Come si sa, delle navi italiane presenti, poterono salpare solo la corazzata Emanuele Filiberto, che ospitava il Comando Superiore Navale di Fiume, che nella manovra strappò una delle ancore ed il caccia Sirtori, evidentemente già allertato e pronto per la partenza.
Altre unità andarono a formare la piccola flotta dannunziana, mentre parte di alcuni equipaggi aderirono alla causa legionaria.
La Dante Alighieri, impossibilitata a partire, ottenne dal Comando dell’Alto Adriatico, unitamente ad alcune altre unità rimaste fedeli, di restare ancorate a Fiume quale simbolo “governativo” della presenza italiana.
La prigionia dell’ammiraglio Casanuova non durò a lungo, grazie a quel rispetto reciproco che caratterizzò, nel primo periodo dell’occupazione, i rapporti tra corpi militari italiani e legionari dannunziani.
Vi è, tuttavia, da considerare che, ancora il 17 settembre, l’ammiraglio Cusani – Visconti, comandante della piazzafote di Pola, principale base navale italiana nei territori occupati, intimava a d’Annunzio di rilasciare il vice ammiraglio Casanuova.