Sul finire dell’estate, dopo la partenza dei Granatieri di Sardegna, imposta dagli alleati, le possibilità di unificazione all’Italia, sono minime. Deluse anche le aspettative, ancora vive nei primi giorni di settembre, con il trattato di Saint Germain en Laye, sottoscritto il 10.9.1919, la situazione si presenta nella sua crudezza: Fiume non è compresa nei territori da cedere all’Italia. Serpeggia il malumore della popolazione nei confronti del Presidente americano, mentre crescono i timori dell’attribuzione della città allo straniero.
Il momento è maturo perché prendano contemporaneamente corpo le inquietudini rivoluzionarie di Gabriele D’Annunzio, ufficialmente impegnato nella preparazione del raid automobilistico Roma-Tokio, le aspirazioni dei volontari segretamente reclutati da Host Venturi nella Legione fiumana, nonché le trame sovversive di un gruppo di ufficiali, i cosiddetti sette giurati.
Questi ultimi, acquartierati nella Venezia Giulia, a Ronchi, mal sopportano l’umiliazione del forzato allontanamento dalla città. Guidati da Riccardo Frassetto hanno giurato di ritornare a qualsiasi costo a Fiume Vittorio Rusconi, Claudio Grandjacquet, Rodolfo Cianchetti, Lamberto Ciatti, Enrico Brichetti e Attilio Adami.
Trovato un capo in Gabriele D’Annunzio, l’impresa ha inizio nella notte tra l’undici ed il dodici settembre. La data è decisa dallo stesso D’Annunzio, il quale, dopo la riuscita “beffa di Buccari” (11.2.1918), considera l’undici un giorno fortunato.
Nell’autoparco di Palmanova vengono procurati con uno stratagemma i veicoli necessari; all’alba, da Ronchi, muove una colonna: una Fiat 501 rossa, occupata dal Comandante e da alcuni ufficiali, e dietro 30 autocarri con 200 granatieri. A Castelnuovo si uniscono alcune autoblindo di bersaglieri. In prossimità del confine, aderiscono all’impresa diversi arditi della 1^ Divisione d’assalto ed in particolare l’VIII Reparto e la 2^ Compagnia del XXII Battaglione, oltre ad ufficiali tra cui il Ten. Colonnello Repetto, Comandante del 3° Gruppo, ed il Maggiore Nunziante. In tutto qualche centinaio, forse un migliaio di militari.
Nella notte la notizia dell’imminente arrivo dei legionari, attesi nella prima mattinata, si è diffusa e la folla attende dall’alba ai giardini pubblici, ai margini del centro cittadino. Alle sette e mezza alcuni volontari, recatisi incontro ai legionari, fanno ritorno con la notizia che, probabilmente, per quel giorno, l’arrivo non potrà avvenire.
Il responsabile del Corpo interalleato, Generale Pittaluga, vive personalmente la drammaticità della situazione facendosi incontro a D’Annunzio a pochi chilometri dalla città, a Castua. Qui consuma tutte le proprie capacità di persuasione, inclusa la minaccia di ricorrere alle armi; senza successo!
Così descrive la situazione Gino Berri nel proprio libro “Le gesta di Fiume”, quando, verso le undici, Pittaluga rientra in città:
“E’ assai buio in volto, non ha più la sua abituale pacatezza, né i gesti misurati, né lo sguardo tranquillo e penetrante. Appare tutto sconvolto da un’invincibile commozione. Giunto ai Giardini grida allo chauffeur:’Ferma!’ E dall’automobile arringa la folla:
‘ Ormai - dice – la vostra volontà si compie e nulla può più ostacolarla. Io penso, sento, palpito con voi che Fiume sia ricongiunta infine alla Patria. Vi esorto però, a mantenere la calma. Conflitti non possono e non devono avvenire, perché nessuna forza si oppone a voi. Vi esorto a mantenere il rispetto verso gli alleati, i quali, spero, terranno il contegno che richiedono le circostanze. Fate che la Patria, in seguito all’atto che state per compiere, non debba subire gravi, umilianti conseguenze.’
Il generale si allontana e rientra al palazzo del Comando. Sale lo scalone lentamente, a capo basso, come se fosse affranto da una grande stanchezza. Agli ufficiali che gli vanno incontro esclama, allargando le braccia: ‘Mi hanno tolto la mano. Erano d’accordo tutti! Non ci posso far nulla. Sono più di diecimila!’
Poco dopo Costanzo Rauci, alla guida di un’autoblindo spezza la sbarra al posto di confine di Cantrida. Il mezzo è il primo dei sette che costituivano la I Squadriglia mitragliatrici, comandata dal tenente Benogli.
Prima di mezzogiorno, la colonna delle automobili e dei mezzi legionari è ai Giardini. E’ un tripudio di folla, mentre tutte le campane e le sirene del porto suonano a festa. Nel frattempo i volontari di Host Venturi occupano i punti chiave della città.
Gabriele D’Annunzio, il quale soffre di una febbre insistente, è costretto al riposo presso l’Hotel Europa. Solo al tramonto riesce a rivolgersi al popolo dal balcone del Palazzo del Governo con un discorso nel quale chiede ai fiumani la conferma del Plebiscito e ritiene di interpretare la parte sana dell’Italia nel proclamare “l’annessione di Fiume”.
“Poi spiega la bandiera di Randaccio, che, secondo la promessa fatta da lui in Campidoglio, doveva prima d’esser donata a Trieste, sventolare sul Carnario redento.”
Quello stesso giorno esce dal porto la Emanuele Filiberto, nave simbolo per i fiumani. Nella manovra strappa un’ancora: successivamente recuperata e donata alla città, essa verrà collocata su un basamento, in p.za Regina Elena, inaugurato il 17 novembre 1920 .
Anche l’altra grande unità, la Dante Alighieri, ha ricevuto l’ordine di salpare. 200 uomini, compresi diversi sottufficiali, però, sono rimasti a terra costringendo il Comandante a rinviare la partenza.
L’esercito ed i suoi vertici periferici, colti di sorpresa, sottovalutano, anzi, non comprendono affatto il significato e le conseguenze degli eventi. I Generali De Gasperi e Zoppi, infatti, si recano a Fiume per riprendersi i propri arditi, valutando la defezione degli stessi un’ubriacatura di entusiasmo e confidando che sia sufficiente un richiamo al dovere per farli recedere. Si devono, però, ritirare con un nulla di fatto.
Drammatica, invece, la percezione della realtà da parte del locale Comando del Corpo di Occupazione Interalleato: il Generale Pittaluga, anch’egli vittima di gravi errori di valutazione (4), convinto di aver visto una moltitudine di legionari a Castua, non ha fatto nulla per opporsi all’ingresso dei dannunziani ed ha trasmesso notizie fortemente preoccupanti agli alleati.
Il giorno stesso trasferisce i poteri a D’Annunzio, nominato Governatore dal Consiglio Nazionale.
Il timore che possano accendersi scontri con le truppe del C.O.I.F., ritenute di ostacolo ad ogni concreta misura contro i ribelli, risulta, invece, infondato, come infondato è il pensiero che la ribellione possa rapidamente rientrare.
Il giorno dell’entrata legionaria i militari interalleati restano consegnati nelle caserme. Le bandiere alleate vengono ammainate con i dovuti onori e già il giorno successivo vengono ritirate le truppe del contingente italiano, il 14 si allontanano dalla città Inglesi, indisturbati al pari delle loro navi. Sono seguiti qualche giorno dopo dagli Americani. Gli ultimi ad andarsene, sono i Francesi, anch’essi nell’arco di breve periodo.
La frettolosa partenza, indotta probabilmente dalle allarmistiche notizie dei Generali Pittaluga e Robilant, causeranno agli alleati l’abbandono di molto materiale, fatto che porterà successivamente ad un reclamo del Governo Inglese per il pagamento dei danni.